Ammazziamo il Gattopardo

Ammazziamo il Gattopardo. E’ il titolo dell’ultimo libro di Alan Friedman che campeggia in bella vista su tutte le vetrine delle principali librerie. Ma siccome la lettura in Italia è comunque in calo, penso di fare un buon servizio a chi non l’avesse ancora letto, dando una mia personale impressione sul libro, visto che parte da vicende dagli anni ’80 del secolo scorso in poi, quindi ripercorre in sostanza la mia vita da quando avevo la sensazione di capire qualcosa (15 anni)…

Iniziamo dal titolo che evidentemente rievoca il famoso libro nonché film. Ammazziamo il Gattopardo significa dunque come intervenire su quella strana congiuntura tra politica e forze economiche, che invece di promuovere lo sviluppo ed il rinnovamento di un paese, ne hanno decretato l’immobilismo e la progressiva terzietà rispetto ai principali paesi europei.

Non sembrava così negli anni ’80, dalla cui disamina il libro parte. Nel decennio d’oro l’Italia era la quinta economia mondiale (così almeno diceva Friedman all’epoca) proiettata verso un ruolo primario anche politico. La scena economica era dominata da poche famiglie capitaliste tradizionali (in primis gli Agnelli), Mediobanca, ed alcuni outsider (De Benedetti, Berlusconi) che cercavano di farsi strada. Da qua però iniziano i veri guai, in particolare l’apertura sconsiderata dei bocchettoni della spesa pubblica (la cui incidenza sul PIL era allora il 60%, oggi 133%), per contenere la possibile ascesa del “comunismo” (ricorrente spaventapasseri delle vicende italiane dal primo dopoguerra con propaggini anacronistiche fino ad oggi).

Da qui Friedman salta a raccontare passo passo il ruolo di Giovanni Napolitano in particolare nel periodo 2011-2013, anni in cui – secondo Friedman – Napolitano parve travalicare il tradizionale ruolo superpartes di un Presidente della Repubblica. Ho trovato questa parte del libro anche troppo dettagliata ed indugiante. Se per esempio Napolitano nel novembre 2011 ha sostituito (fatto dimettere) Berlusconi con Monti, mi pare abbastanza comprensibile che un passo del genere non poteva essere architettato in una settimana. Passo passo si arriva così fino allo show-down di Berlusconi, con la rinascita di Forza Italia e l’ascesa di Renzi.

Ammazziamo il Gattopardo continua con il resoconto di una intervista a Dalema, che si può scorrere perchè non aggiunge nulla di interessante ed approda al capitolo centrale per la tesi di Friedman, ove si enucleano i mali dell’Italia (malgoverno, clientelismo, corruzione, la palude burocratica, cose note insomma) ma soprattutto si cerca di spiegare da dove nasce la resistenza italiana ad ogni cambiamento. In Italia, e sono d’accordo, si parla sempre di cambiamento ma, gattopardianamente, tutto cambia per lasciare tutto così com’è. Il nocciolo centrale è il corporativismo, quel sistema di protezioni corporative per cui ognuno – all’interno del proprio “compartimento” – non vuole rinunciare ai diritti acquisiti: così è per il politico e i suoi privilegi, il lavoratore a tempo indeterminato, il professionista con l’albo e le sue tariffe, il dirigente pubblico, il pensionato d’oro. Ognuno, per la sua parte, “resiste” al cambiamento, in un sistema che non libera le risorse e rimane ancorato ad una sorta di feudalesimo.

Qual è dunque la ricetta di Friedman? E’ presto detto nel capitolo successivo:

  • Serio abbattimento del debito
  • Diminuzione del cuneo fiscale e norme nuove per il lavoro
  • Minimo vitale (da non confondersi con lo stipendio di “cittadinanza”)
  • Tagli alle pensioni d’oro (più per “giustizia” che per un vero ritorno economico)
  • Investire sull’occupazione femminile (in questo caso per il ritorno positivo sul PIL, non per “giustizia”)
  • Meritocrazia vera all’interno della pubblica amministrazione
  • costi standard nella sanità (risparmio consistente) e taglio delle competenze alle Regioni (con conseguente riforma del titolo V)
  • Patrimoniale “leggera”
  • Vera sana liberalizzazione del mercato
  • Concerto e unisono dei vari provvedimenti

Non entro nel merito dei singoli capitoli di riforma, per 3 ordini di motivi:

A) Nessuno di questi provvedimenti è di per se una novità; se ne sente parlare tanto e da tanto; tuttavia Friedman dà per ognuno di essi degli interessanti suggerimenti “operativi” che invito a leggere. Da vent’anni a questa parte nessuno di questi capitoli è stato affrontato veramente con schiettezza e serietà, ma probabilmente più che una questione di metodo, si trattava appunto del… Gattopardo.

B) Nessuno di questi provvedimenti, da solo, può far qualcosa; ormai si tratta di un sistema olistico: se non si muovono tutte le pedine assieme crolla il castello. Esempio pratico: non si può abolire parzialmente l’articolo 18 e la cassa integrazione straordinaria senza un sistema di welfare efficiente e sostitutivo, inclusovi la riforma copernicana dei job center.

C) Il capitolo successivo (il 10) nonchè penultimo del libro racconta di un’intervista fatta a Matteo Renzi pochi giorni prima il suo insediamento come segretario del PD. L’oggetto dell’intervista è proprio un confronto serrato su questi temi, un confronto point-to-point tra la ricetta Freidman ed il Renzi pensiero. Va Letto integralmente.

Ma Friedman non sapeva ancora come sarebbero andate le elezioni europee… il suo “Ammazziano il Gattopardo” ha visto la luce nelle librerie prima di questo fondamentale evento. L’eclatante risultato (oltre 4 italiani su 10 han dato il proprio voto al principale partito di governo) non va letto come “adesione ad un partito”, quanto piuttosto come “speranza” che sia finalmente arrivato qualcuno determinato ad ammazzare il Gattopardo. Non ha più importanza la “destra”, la “sinistra”… sono categorie del passato; ha importanza il fatto che – come dice Friedman – siamo ormai ai tempi supplementari e o noi ammazziamo il Gattopardo, o questo ammazza noi.

Sembra che sempre più italiani lo vogliano, anche indipendentemente dal loro originario credo politico. Suggerisco dunque senz’altro di leggere questo libro soprattutto alla luce di questi ultimi avvenimenti politici.