Metaverso: realtà o chimera?
Il Metaverso è un insieme di ambienti, esperienze, risorse, concetti, personaggi fusi insieme in modo da creare un mondo virtuale a 360 gradi.
Dopo l’esperienza della pandemia ed il ricorso sempre più frequente alla comunicazione digitale e a distanza, è naturale che il Metaverso susciti grande interesse nelle aziende.
La differenza sostanziale è che il Metaverso non è un insieme di strumenti da usare in maniera intermittente o saltuaria, ma un vero e proprio universo immersivo, dove chi si trova dentro agisce in tutto e per tutto come nel mondo reale.
La metafora più idonea è quella del film Matrix, dove gli individui avevano una doppia vita, reale ed immersiva, fino a non distinguere l’una dall’altra.
Lungi dal raggiungere a breve termine una tale potenzialità, se non altro perché la grafica del Metaverso è ancora evidente, il mondo virtuale è tuttavia completo: si possono incontrare persone, prendere appuntamenti, fare acquisti, abitare in luoghi ameni, comportarsi bene o… no!
L’approccio “naturale” che molti hanno nei confronti del Metaverso è che si tratti di un gioco, magari più sofisticato ed immersivo, ma sostanzialmente un gioco. Questo approccio è tuttavia fuorviante. È vero, il Metaverso può essere considerato come un web in tre dimensioni, in quanto l’ambiente immersivo riproduce la profondità degli oggetti, i paesaggi, gli interni ed esterni di abitazioni, castelli, intere città. È una riproduzione, ancora non fedelissima dal punto di vista grafico, della vita, della nostra vita, con le attività che abitualmente svolgiamo in ufficio, con i canali e mezzi di comunicazione che utilizziamo di solito, come ad esempio creare un documento in Excel ed inviarlo via mail. Per questo “ridurlo ad un gioco” equivale a non coglierne le potenzialità, a non intuire quanto il Metaverso possa influenzare concretamente le nostre vite.
La parola “virtuale”, o “realtà virtuale” (VR) associata al Metaverso, da una parte è corretta, dall’altra fa ulteriormente pensare ad un mondo distaccato e inutile, senza nessuna attinenza con la realtà “reale” e fisica. Se però molte aziende investono in questo mondo, e non solo aziende di “gaming”, ci sarà un perché.
Forse – in quanto direttamente connesso al periodo di “lockdown” pandemico in cui le persone dovevano per forza lavorare a distanza – risulta maggiormente comprensibile la creazione di piattaforme di collaborazione “real time” tra utenti e applicazioni, oppure le piattaforme per la progettazione di oggetti, di ambienti, di infrastrutture (ponti, edifici, porti, aeroporti…). Quindi il Metaverso – nella misura in cui modifica i comportamenti umani ed il loro modo di rapportarsi e produrre – in qualche modo “esiste”, produce effetti nella realtà della nostra vita vera.
È abbastanza semplice creare un avatar, partecipare ad un meeting, fare una riunione virtuale e all’interno una presentazione di marketing. Da qui partecipare ad un concerto, sempre all’interno del Metaverso, e per l’occasione acquistare un capo (virtuale) da indossare per la serata pagando con PayPal, è una questione di acquisizione di dimestichezza del sistema e – dal punto di vista mentale – una predisposizione ad ampliare il circolo delle proprie “esperienze” di vita aggiungendo quelle virtuali a quelle reali.
Parlando di aziende che investono nel Metaverso il pensiero di molti va a Facebook o – come sarebbe giusto dire oggi – a Meta Platform Inc. Anche qui risiede un grande misunderstanding: il Metaverso non è di Zuckerberg, anche se Zuckerberg sta investendo grandi risorse nel suo progetto (Horizon), ad oggi (2022) non disponibile in Italia. Non deve ingannare il fatto che Mark abbia fatto suo il nome Meta: è una questione di marketing.
Dunque di chi è il Metaverso? Una risposta l’ha data probabilmente chi più di tutti ha contribuito allo sviluppo della tecnologia immersiva 3D, ovvero Tony Parisi, creatore con Mark Pesce del VRML (Virtual Reality Modeling Language).
Parisi infatti ha definito sette regole per riconoscere il “vero” Metaverso da altre forme di realtà virtuale.
Primo. Il Metaverso è unico. Ci possono essere una infinità di mondi virtuali, ambienti 3D, città ricostruite in 3D, ma tutti devono appartenere ad una rete globale accessibile.
Secondo. Diretta conseguenza del primo punto: Il Metaverso è “per” tutti.
Terzo. Se è “per” tutti, non ci devono essere “controllori”, “patriarchi” e concentrazioni di potere. Il Metaverso dev’essere un bene comune e diffuso.
Quarto. La tecnologia su cui si basa deve essere “open”, accessibile e standardizzata, in modo da generare massima fruibilità ed interoperabilità.
Quinto. Il Metaverso deve prescindere dal device o dalla tecnologia che lo rende usufruibile. Qualsiasi dispositivo deve poterne usufruire, per qualsiasi condizione umana (il riferimento è anche alla disabilità).
Sesto. Il Metaverso è una rete. Una rete che, grazie alla maggior familiarità degli oggetti 3D, renderà la comunicazione ancora più universale e fruibile.
Settimo. Il Metaverso è Internet. Questo punto ad alcuni sembra quasi deludente, dopo tanto scintillio e sfarzosità di intenti. Fatto sta che il Metaverso non può essere altro che Internet, ma portato alle estreme conseguenze: portare sulla rete l’esperienza 3D a cui siamo abituati sin dall’infanzia.
Saprà Meta rispettare questi punti o creerà un mondo chiuso accessibile ai soli utenti Facebook dotati di visore dedicato? Lo vedremo. Il bello è che molti altri attori si stanno muovendo e propongono ambienti virtuali in Europa, in Italia, senza attendere l’America e soprattutto con tutta l’intenzione di rispettare i sette punti di Parisi per un mondo virtuale di tutti e per tutti.